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MATTEO
MARIA BOIARDO Orlando
Innamorato: Proemio Parafrasi
riassuntiva
In
questo proemio il poeta si rivolge al pubblico della corte estense, radunato per
ascoltare vicende piacevoli e mai prima udite. Si tratta delle imprese
straordinarie del celebre paladino Orlando, non intraprese per fede, ma spinte
dalla sua passione amorosa. L’autore
invita a non meravigliarsi se narrerà vicende d’amore, perché tutti gli
uomini sono travolti da tale sentimento, contro cui non c’è nessuna difesa:
Amore, infatti, vince tutte le sue battaglie. Tale
storia, aggiunge il Boiardo, è poco conosciuta perché Turpino di Reims, che ha
raccontato le imprese dei paladini, ha voluto tenerla nascosta, temendo di
sminuire il prestigio di un cavaliere noto a tutti per la sua virtù e per il
suo coraggio, se l’avesse mostrato vinto dall’Amore. La
vera storia riportata da Turpino, quindi, racconta di un certo Gradasso, un
emiro assai potente e ricco del lontano oriente, il quale vuole conquistare la
spada di Orlando, Durindana, e Baiardo, il destriero di Ruggiero. Per far
ciò, l’emiro decide di partire alla volta della Francia con un esercito di
centocinquantamila cavalieri. Nel
frattempo alla corte di Carlo Magno si stava svolgendo un banchetto che il
sovrano stesso aveva organizzato per festeggiare l’inizio di una grande
giostra d’armi a cui erano stati invitati sia cavalieri cristiani, sia
Saraceni. Commento
contenutistico
Il
brano analizzato è tratto dal proemio dell’”Orlando Innamorato”, scritto
da Matteo Maria Boiardo. Tale
poema attinge alla tradizione degli antichi cantari cavallereschi che venivano
scritti da giullari e canterini girovaghi per allietare un pubblico
originariamente di bassa cultura. Nella
sua opera, Boiardo attua una fusione tra i materiali provenienti dal ciclo
carolingio e quelli del ciclo arturiano. Egli si muove liberamente in questo
vasto repertorio di personaggi, storie e situazioni, e vi aggiunge elementi di
propria invenzione, sino a creare una trama fittissima e intricata. Il
motore principale delle vicende è Angelica (personaggio inventato da Boiardo),
una bella principessa che dal Catai (Cina) giunge alla corte di Carlo Magno con
lo scopo di gettare lo scompiglio tra i cavalieri cristiani, facendoli
innamorare e rivaleggiare. Tra
i presi nei suoi lacci è il paladino Orlando, che nella tradizione precedente
era un eroe casto e fedele alla sposa: è questa la novità che da il titolo al
poema, “Orlando Innamorato”, appunto. Il fatto che Orlando si innamori,
perciò, è così innovativo e degno di nota che l’autore cita proprio questo
inaspettato cambiamento agli spettatori, con i quali vi è un rapporto molto
diretto che si può notare in alcuni dei versi iniziali del proemio (“Signori
e cavallier che ve adunati […] state attenti e quieti, ed ascoltati”). Si
tratta comunque di un pubblico colto e raffinato, chiamato ad ascoltare una
storia che lo divertirà. Altra
cosa degna di nota è l’introduzione dell’artificio del manoscritto, metodo
usato molti anni dopo dal Manzoni per il componimento de “ I Promessi
Sposi”; in questo modo si fa risalire l’origine dell’opera
all’arcivescovo di Reims Turpino, il quale avrebbe scritto questa storia e poi
l’avrebbe nascosta, per non dare un dispiacere ad Orlando ed ai suoi
ammiratori nel raccontare che anche questo guerriero, per quanto nobile e
virtuoso, fu vinto dall’Amore. Nella
prima ottava, oltre a rivolgersi direttamente al pubblico, Boiardo specifica il
periodo storico in cui la storia si svolge con un semplice verso: ”nel tempo
del re Carlo imperatore”. Proseguendo,
nella seconda ottava, emerge la presentazione di Orlando come personaggio
principale dell’opera e soprattutto dell’amore che lo rende schiavo e
forsennato. È proprio questo, infatti, il tema posto alla base del poema. Nella
terza ottava emerge il tema encomiastico particolarmente prediletto durante
questo periodo storico: l’”Orlando Innamorato” è infatti scritto in onore
della dinastia Estense. Il
vero e proprio proemio si conclude con la descrizione di Gradasso, un emiro
assai potente e ricco, il quale vuole conquistare la spada di Orlando, Durindana,
e per far ciò decide di partire alla volta della Francia con un esercito di
quindicimila cavalieri. Tale
personaggio divenne poi così “caratteristico” che nel passare del tempo il
suo nome assunse l’accezione che ha tutt’oggi, divenne cioè simbolo di una
persona sbruffona. La
scena passa poi nella corte di Carlo Magno, dove il magnifico re ha organizzato
un grande banchetto per festeggiare l’apertura di una grande giostra d’armi,
a cui erano accorsi per partecipare tutti i paladini provenienti da ogni parte
del mondo, dagli illustri cavalieri cristiani ai temibili e feroci Saraceni. Commento
stilistico
Per
quanto riguarda le caratteristiche inerenti alla forma, i versi utilizzati
dall’autore sono endecasillabi, raggruppati in ottave che, in misura,
corrispondono equilibratamente con la lunghezza delle proposizioni. Lo
schema metrico presente è: ABABABCC e la lingua, come si può notare dalle
desinenze verbali, ha forti venature della lingua locale, con qualche traccia di
latinismi di tradizione colta ("subiugato"). La
sintassi si presenta agli occhi del lettore moderno piuttosto comprensibile
anche se ricca di subordinate, ma soprattutto di inversioni all’interno del
periodo, tipiche del linguaggio poetico in genere. Le
figure retoriche presenti sono: -
ALLITTERAZIONE: “conte valente”
(3, 3) = epiteto di Orlando
”Gradasso nome avea quello amirante,
/ che ha cor di drago
e membra di
gigante” (4, 7-8)
“Parigi
risonava de
instromenti, / di
trombe, di
tamburi e di
campane”
(11, 1-2) -
ANAFORA: “né” ripetuto ai versi 2, 5-6-7 -
ENUMERAZIONE: “ né forte braccio, né ardire animoso / né scudo o maglia, né
brando
affilato, / né altra possanza può mai far diffesa” (2, 5-6-7)
= polisindeto e climax ascendente -
INVERSIONE: “esser le sue scritture dispettose” (3, 4) = iperbato
“Già se apressava quel giorno nel
quale / si dovea la gran giostra incominciare”
(12, 1-2) = anastrofe -
METAFORA: “che ha cor di drago e membra di gigante” (4, 8) - IPERBOLE: “era in Parigi una gente infinita” (9, 4)
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