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NICCOLò
MACHIAVELLI Principe - Capitolo XXVI RiassuntoMachiavelli
tira le fila del suo discorso facendo un’ultima valutazione della situazione
italiana, per poi rivolgersi direttamente a la famiglia ‘de Medici, a cui la
sua opera è destinata. Egli
esorta la potente famiglia di Firenze ad armarsi di armi fedeli, che non siano i
vacillanti eserciti mercenari e che permettano di cacciare finalmente gli
stranieri dall’Italia. Conclude,
infine consigliando ai Medici di non lasciarsi sfuggire l’occasione di
liberare la patria sotto il loro grande blasone. Commento contenutisticoIl
brano analizzato è il ventiseiesimo capitolo del saggio politico
“Principe”, composto da Niccolò Machiavelli nel 1513, durante il suo esilio
forzato all’Albergaccio. Questo
ultimo capitolo si distingue dai precedenti per argomento e stile. Tale
contrasto non rappresenta una contraddizione, ma piuttosto sembra racchiudere in
sé il significato stesso del trattato e chiarire il suo reale scopo.
L'esortazione finale a Lorenzo de'Medici, insomma, smentisce l'aspetto
rigorosamente ed esclusivamente scientifico del "Principe", svelandone
la nascosta ma profonda tensione etica ed utopistica. Il
brano si apre con un confronto tra la situazione italiana e quella di altri
popoli che, nel passato, erano stati liberati da grandi condottieri. Si tratta
di personaggi già citati come Mosè, Ciro e Teseo; ma in realtà il paragone
non avviene in modo razionale, in quanto l'atteggiamento analitico dell’autore
appare ora ridimensionato dalla carica emotiva provocata dalla personificazione
dell'Italia. La patria viene infatti rappresentata come una vera e propria
persona che, rimasta quasi senza vita, attende ferita e lacerata colui che
riesca a sanare le sue piaghe; appellandosi persino alla grazia di Dio. Questo
sguardo al Padre Eterno risulta del tutto innovativo all’interno di un
trattato in cui Machiavelli aveva finora voluto eliminare, o almeno ignorare,
l’intervento di Dio nella storia, regolata unicamente dall'azione umana, la
virtù, e da una forza irrazionale, la fortuna. Al
contrario, nell'ultimo capitolo, nel momento in cui la casata ‘de Medici viene
presentata come la "favorita da Dio", nonostante il ribadito principio
del libero arbitrio umano, si ammette l’intervento di Dio, il quale non solo
agisce secondo il criterio razionale del "giusto", ma inoltre
subordina il ruolo della fortuna riducendola quasi a strumento nelle Proprie
mani. In
questo capitolo conclusivo, inoltre, Machiavelli prende una precisa posizione
difendendo l'abilità militare degli italiani. Egli propone una soluzione
affinché la sua patria, diversamente da quanto accaduto fino ad allora, possa
emergere e risultare determinante negli scontri tra i più potenti eserciti
europei. In questo caso, infatti, l’espressione "virtù italica" si
riferisce specificatamente al "valore militare" degli italiani. La
conclusione del "Principe" è all'insegna della lirica. Machiavelli
cita, infatti, quattro versi della canzone petrarchesca
"All’Italia", in cui il poeta immagina un’Italia unita che impugna
le armi per scacciare gli invasori e combatte con quel valore del grande popolo
romano che non ha ancora abbandonato il cuore degli italiani. Si
svela così l'altro volto di Machiavelli: non più quello di "scienziato
della politica", ma quello di "uomo politico" profondamente
sconvolto dalla decadenza italiana e desideroso di porvi rimedio fino ad ideare
l'utopia di uno stato unitario e sovrano. Commento stilisticoQuesto
capitolo si distingue dai precedenti anche per quanto riguarda lo stile: al
contrario del resto dell’opera, il brano ora analizzato presenta un tono molto
passionale e profetico, mirato a suscitare emozioni nel lettore. A
livello linguistico spicca il forte contrasto tra un tipo di linguaggio alto,
tipico della retorica oratoria ed una lingua più bassa, ricca di espressioni
popolari (ad esempio “puzza” alla riga 70). Compaiono, inoltre, diversi
termini attinti dal lessico cristiano (il principe destinato a liberare
l’Italia, ad esempio, viene detto “redentore”) e da quello esclusivamente
biblico (quando Machiavelli elenca i prodigi che accompagnarono la liberazione
degli Ebrei dall’Egitto e la loro ricerca della terra promessa). Non mancano,
inoltre, come negli altri capitoli, numerosi latinismi, tra cui la citazione a
memoria da Livio Tito. La
sintassi è anche qui paratattica e da sottolineare sono le numerose
interrogative indirette utilizzate alla fine del brano per aumentarne il tono
esortativo. Per
concludere sono state usate diverse figure retoriche: prima fra tutte è la
personificazione dell’Italia, qualificata da aggettivi drammatici e disposti a
formare un climax (“battuta, spogliata, lacera, corsa”). Altro
climax si trova alla riga 68, quando Machiavelli descrive la reazione che altri
popoli hanno avuto di fronte all’invasione nemica: “con che sete di
vendetta, con che ostinata fede, con che pietà, con che lacrime”. Sono anche questi climax che concorrono a dare un tono lirico a tutto il capitolo. |