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NICCOLò
MACHIAVELLI Principe - Capitolo XVIII RiassuntoIn
questo capitolo Machiavelli analizza la fedeltà che un principe deve mantenere
ad una parola data. Per l’autore il principe leale è migliore rispetto ad un
principe non leale, però deve anche essere in grado di infrangere la lealtà se
necessario; quando c’è un oggettivo rischio di perdere il principato. Se
la lealtà e le leggi non bastano per poter mantenere il potere, inoltre, il
principe può ricorrere alla violenza, se necessaria. Egli deve essere anche
forte ma prudente, deve fare il possibile per mantenere le sue promesse finché
vi riesce; ma non si deve preoccupare se non riuscirà a mantenerle per sempre. Il
principe è costretto ad usare violenza e cattiveria; “armi” che non
sarebbero necessarie se gli uomini fossero tutti buoni; ma in realtà essi sono
crudeli e quindi violenza e cattiveria sono indispensabili. Il
principe deve avere un comportamento volubile: deve essere in grado di cambiare
secondo le circostanze. Infine,
come nei capitoli precedenti, Machiavelli ribadisce che nel principe non devono
necessariamente essere presenti tutte le virtù e le qualità, l’importante è
far credere agli altri di possederle. Commento
contenutistico
Il
brano analizzato è il diciottesimo capitolo del “Principe”, la più celebre
opera scritta da Niccolò Machiavelli. In
questo capitolo l’autore parla del problema della "fides" del
principe. Qui
egli non critica la base positiva delle virtù espresse dagli utopisti, ma ne
disapprova l’utopia vera e propria. L’esperienza gli ha insegnato che i
principi che hanno ottenuto più successi sono quelli che non hanno mantenuto
fede alla parola data, quelli che hanno agito d’astuzia. L’autore
distingue a questo punto due modi di governare: "l'uno
con le leggi, l'altro con la forza", cioè quello
dell’uomo razionale e calcolatore, e quello della bestia impulsiva e violenta.
Per Machiavelli il principe deve fare appello alla sua natura bestiale quando le leggi non servono, citando come i grandi eroi della storia, ad esempio Achille, avessero come educatori i Centauri, esseri per metà uomo e per metà bestia. Per semplificare questo ragionamento Machiavelli indica due figure: la volpe, simbolo d’astuzia e capacità di sciogliere gli imbrogli, e il leone, simbolo d’irruenza e forza fisica. Accanto
a questa natura bestiale si affianca quella della simulazione. Al principe è più
utile simulare doti positive poiché la maggioranza dei sudditi guarda solo le
apparenze. A
questo punto Machiavelli passa ad attaccare la tesi utopistica: egli afferma che
idealmente l'uomo
dovrebbe essere buono, e quindi l'uso della forza da parte del principe sarebbe
inutile e moralmente scorretta; ma poiché essi sono in realtà malvagi la forza
va utilizzata. "Forza",
in questo caso, vuol dire "scorrettezza"
e quindi anche non osservare la parola data. L'esempio addotto dall’autore è
il papa Alessandro VI Borgia, padre del duca Valentino, che "non pensò mai
che ad ingannare uomini" e per questo rimase al potere. Il
principe deve, a seconda delle situazioni, applicare le leggi o imporsi con la
forza, azione moralmente scorretta ma politicamente utile. Etica e politica
vengono per la prima volta totalmente scisse: l'etica riguarda il singolo uomo
ed è la tendenza ad un comportamento ideale, la politica riguarda solo il
principe e tende al raggiungimento del bene del popolo e della conservazione del
proprio potere. Per
il principe è più conveniente "parere
pietoso, fedele, umano, intero, religioso" che esserlo, poiché
in questo modo appare "buono"
al popolo ma contemporaneamente è svincolato da questa limitazione. In questo
caso Machiavelli cita, senza nominarlo, il re di Spagna Ferdinando il Cattolico,
che "non
predica mai altro che pace e fede, e dell'una e dell'altra è inimicissimo".
Commento
stilistico
Lo
stile utilizzato è, come in tutto il Principe, semplice e pratico, mentre nel
linguaggio sopravvivono alcuni latinismi (tamen, etiam) e alcuni costrutti, come
quelli retti da participi, che ricordano molto la lingua latina. In
particolare in questo capitolo Machiavelli adopera un tono spesso sentenzioso e
lapidario; infatti i costrutti sono essenzialmente paratattici. Questo
linguaggio "vuoto di ornamenti" è il primo vero esempio italiano di
una prosa scientifica moderna.
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