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UGO
FOSCOLO Alla
sera Parafrasi
Foscolo si rivolge alla sera e le dice che forse essa gli giunge così cara perché è l’immagine della pace eterna. La
sera scende sempre da lui desiderata e sa raggiungere dolcemente le zone più
segrete del suo cuore; sia quando la accompagnano le liete nubi estive ed i
venti tiepidi che rasserenano il cielo, sia quando dall’aria nevosa protende
fino all’universo le tenebre lunghe ed inquiete dell’inverno. La
sera porta i pensieri del poeta ad aggirarsi sull’idea della morte e nel
frattempo il tempo presente fugge portando via con sé la folla degli affanni
che consumano sia il poeta, sia l’epoca a lui contemporanea. Infine,
nella contemplazione della pace della sera, anche l’animo guerriero di Foscolo
sembra trovar pace. Commento
contenutistico
Il
sonetto analizzato, intitolato “Alla sera”, è stato scritto da Ugo Foscolo
probabilmente tra l’agosto del 1802 e l’aprile del 1803. C’è
una differenza piuttosto sostanziale tra le due quartine e le due terzine in cui
è diviso il sonetto: le prime hanno valore descrittivo, concernente la sera; le
altre due, invece, hanno carattere strettamente riflessivo, sull’incidenza di
sentimenti e passioni che la sera stessa crea nel poeta. La
sera, dunque, è ovviamente la parola ed il concetto fondamentale di tutta la
poesia. Foscolo, infatti, le si rivolge come se fosse un essere
umano, una persona con cui parla in modo molto confidenziale. Personificata
attraverso l’uso del pronome tu, la sera rappresenta metaforicamente la
morte, che simboleggia a sua volta la fine di tutte le sofferenze e le
oppressioni della vita. Inizialmente
il poeta espone un dubbio, ipotizzando a se stesso che la sua affezione
verso la sera potrebbe dipendere dal fatto che essa rappresenti la “fatal
quiete”, ovvero la morte intesa come pace e quiete interiore. Il
ritmo prosegue in modo molto fluente e Foscolo inizia così a descrivere
brevemente ma intensamente le stagioni della vita parlando prima dell’estate con aggettivi
musicali e ariosi che richiamano la giovinezza, e poi del cielo invernale che
appare pieno di ombre inquietanti e minacciose che disturbano la serenità del
poeta. La
sera, di nuovo intesa come persona, riesce a leggere in profondità i sentimenti
e gli impulsi del poeta. Quando
Foscolo pensa all’imbrunire, poi, egli collega questo concetto a molti altri e
pensa così al nulla eterno, all’immensità dell’universo e all’infinito;
ma nel frattempo il tempo scorre veloce ed il “reo tempo” presente è
ritenuto colpevole di tutti gli affanni ed i dolori della vita. Si nota, dunque,
una forte contrapposizione tra armonia e tormento: il pensiero della morte è
visto come una fine quieta, mentre il vivere presente è fortemente tormentato
dalle passioni. Negli
ultimi due versi, infine, Foscolo propone un contrasto tra la pace della sera ed
il suo “spirto guerrier”, romantico e tormentato dalle passioni, che riesce
a trovare un po’ di quiete solamente al calar del sole. Commento
stilistico
Lo
schema metrico su cui si basa il sonetto analizzato è ABAB ABAB CDC DCD; ma
oltre alle rime il poeta ha intrecciato numerose corrispondenze foniche
all’interno di molti versi. Oltre all'allitterazione della /s/ ("sempre
scendi... soavemente" vv.7-8) e della /r/ in tutta l’ultima terzina, sono
frequenti assonanze e consonanze (ad esempio: "questo reo tempo"
v.11). Sono
molto usati anche gli enjambement che allungano il ritmo del verso provocando un
effetto di sospensione (ad esempio nei versi 4-5). L'equilibrio formale del
componimento è tuttavia ottenuto anche con altre soluzioni come parallelismi
("le nubi estive e i zeffiri sereni" v.4) e inversioni (ad esempio
l'iperbato "inquiete / tenebre e lunghe" vv.5-6), mentre l'anafora
"e quando... e quando" vv.3-5 separa immagini che si riferiscono
rispettivamente all'estate e all'inverno. Le
parole-chiave della poesia sono "sera" e "quiete", rilevate
anche dal fatto che si trovano entrambe in posizione significativa, la prima
dopo il lungo enjambement dei vv. 1-2, la seconda in chiusura del v.1 e
sottolineata dalla dieresi. La
poesia si configura come un gioco di richiami tra la sera e la pace, da
intendersi pertanto sia come pace eterna (la "fatal quïete" v.1, ma
anche il "nulla eterno" v.10), sia come tregua dall'inquietudine dello
"spirto guerrier" v.14. Il
linguaggio utilizzato è medio-alto. Mancano infatti termini molto ricercati e
aulici, caratteristica formale tipica dello stile neoclassico.
UGO
FOSCOLO In
morte del fratello Giovanni Parafrasi
Foscolo
si rivolge al fratello morto e gli promette che un giorno, se non sarà più
costretto a fuggire di paese in paese, si siederà sulla sua tomba piangendo la
sua gentile giovinezza troncata dalla morte nel suo fiore. La
madre, ora sola, trascinando la sua vecchiaia, parla di Foscolo con le ceneri
mute del fratello morto. Il poeta, quindi, tende inutilmente le braccia alla sua
famiglia, ma se riesce anche solo da lontano a salutare la sua casa, sente già
gli dei nemici che lo respingono indietro. Essendo
state deluse tutte le sue speranze, a Foscolo resta solo quella di poter trovare
rifugio nella morte. Invoca quindi le genti straniere che lo ospitano, affinché
rendano almeno le sue ossa al petto della madre addolorata. Commento
contenutistico
Il
sonetto analizzato è “In morte del fratello Giovanni”, scritto da Ugo
Foscolo nel 1802 e dedicato al fratello del poeta, Giovanni, un tenente
dell’esercito cisalpino uccisosi per debiti di gioco alla giovane età di
vent’anni. Il
sonetto prende avvio, come si può constatare, da una situazione di dissidio
interiore e di dolore: il poeta esprime le sue riflessioni sulla triste morte
del fratello, ma non può recare omaggio di persona alla sua tomba.
Successivamente Foscolo immagina dapprima il dolore dell’anziana madre, che
ora si trova completamente sola, e, in un secondo momento, avverte anch’egli
le torturanti sofferenze che turbarono la vita di Giovanni, sicché giunge a
sperare per lui la pace nella morte. L’ultima terzina conclude il componimento
con un’esclamazione di totale prostrazione del poeta dinanzi al “reo
tempo” e un’invocazione al fine di ottenere, per se stesso, una sepoltura
lacrimata, in modo che la sua memoria resti viva presso le coscienze dei suoi
parenti più cari. La
tematica principale del sonetto, come si avverte già dal titolo, è la morte,
cui si affianca quella della sepoltura, che assume, in Foscolo, sfumature molto
particolari e significative. Il
sonetto rivela un profondo turbamento interiore che è quasi una costante nella
produzione foscoliana. Esso deriva non solo dalla triste perdita del fratello,
ma anche dalla condizione stessa del poeta, che, in quanto esule dalla sua
patria (Venezia), non può essere vicino alla madre e non può rendere un degno
omaggio alle spoglie di Giovanni. Il dolore per la scomparsa di Giovanni risulta
quindi accresciuto dalla sofferenza provocata da questa condizione di esule. La
tristezza del poeta è resa poi più amara dalla metafora del v.7, in cui le
mani deluse di Foscolo, rese antropomorfe, non riescono ad stringere i suoi
cari, per quanto egli si sforzi. Il
componimento è inoltre un emblema della difficoltà dell’eroe romantico, che
non riesce a essere vittorioso e sicuro dinanzi a una realtà difficile, come
invece riusciva l’eroe classico. In questo, Foscolo rievoca l’atteggiamento
di Jacopo Ortis: entrambi sono infatti eroi ostacolati dal “reo tempo”. Va
notato, poi, come i primi undici versi del sonetto non presentino alcuna
prospettiva positiva per il futuro del poeta: le uniche tematiche positive -
l’omaggio di Ugo alla tomba di Giovanni (vv.2-5) e il ricongiungimento con la
casa materna (vv.7-8) - vengono racchiuse tra il dolore di Foscolo come esule (vv.1-2)
e le “secrete cure” che attanagliano il suo animo (vv.9-11). Tuttavia,
ai versi 13-14 avviene una svolta: le “straniere genti”, al momento della
morte del poeta, dovranno essere così pie da restituire alla madre le misere
ossa del figlio, in modo che possa essere pianto e onorato. La morte, quindi,
non è più annullamento di ogni cosa, ma unica possibilità di riconquistare
gli affetti negati dal “reo tempo” e unico modo per garantire il proprio
ricordo. Una “sepoltura lacrimata” è l’unica garanzia della sopravvivenza
di idee, sentimenti e ricordi legati al defunto. Questo
non significa però che Foscolo abbia smesso di credere nella morte come un
“nulla eterno; egli crede ancora fermamente alla distruzione completa
dell’individuo dopo la morte; tuttavia attribuisce alle tombe un’importante
funzione di ricordo del defunto ed alla poesia un particolare carattere
eternatore; essa infatti, in quanto immateriale, riesce a vincere gli effetti
del tempo più di quanto non riescano il ricordo dei cari o i sepolcri stessi. Quindi
anche in questo sonetto, come in tutte le opere di Foscolo, ad una visione
negativa e materialistica del reale si affianca un nucleo di valori e di
speranze positive. Commento
stilistico
Dal
punto di vista metrico, l’opera analizzata è un sonetto, cioè un
componimento di 14 endecasillabi raggruppati in due quartine e due terzine, con
schema rimico ABAB ABAB CDC DCD. Dal
punto di vista stilistico e formale, invece, il componimento risulta come
speculare all’ideologia ivi espressa dal poeta. oltre
ai rimandi, più o meno espliciti, alla tradizione classica, Dal
punto di vista fonico si nota una composizione studiata a rendere le passioni
emotive negative del Foscolo: nella prima quartina la consonanza della lettera
/g/, accompagnata dalla /e/ (“fuggendo di gente in gente”, “gemendo il
fior de’tuoi gentili anni”) sembra rendere lo sforzo e la sofferenza del
poeta dinanzi alla scomparsa di Giovanni. Analoga funzione riveste la consonanza
della /r/ ai vv.3-6 e, ancora, ai vv.9-11 (“gli avversi Numi e le secrete cure
che al viver tuo furon tempesta”). Particolare
enfasi assumono le parole poste a inizio di verso (ad es. “di gente in
gente”, ”La madre”, ”cure”, ”Straniere”), che divengono quasi
rappresentative del discorso sviluppato da Foscolo. Infine,
una funzione analoga svolgono le rime, che, nella loro articolazione, associano
sempre termini “negativi”: ad esempio
“fuggendo…gemendo…traendo…tendo” oppure
“tempesta…resta…mesta”. |