Ultime lettere di Jacopo Ortis
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UGO FOSCOLO

Ultime lettere di Jacopo Ortis - “Il sacrificio della patria nostra è consumato”

Riassunto

Dopo che Venezia è stata venduta da Napoleone agli Austriaci, Jacopo Ortis, giovane ufficiale italiano costretto all'isolamento, dà sfogo, nelle lettere all'amico Lorenzo, a tutto il suo dolore angoscioso e all'odio nei confronti dello straniero. Convinto dalle suppliche della madre di fuggire da Venezia e mettersi in salvo, Jacopo si era infatti rifugiato in un paesello sui colli Euganei da dove viene a sapere con amarezza delle terribili persecuzioni austriache antirivoluzionarie che si stanno svolgendo nella sua città.

Commento contenutistico

Il brano analizzato è tratto dalle “Ultime lettere di Jacopo Ortis”, romanzo epistolare a carattere biografico (un genere molto in voga nella seconda metà del Settecento), composto dalle lettere che il Foscolo immagina scritte da un giovane suicida negli ultimi tempi della sua vita, a un amico, Lorenzo Alderani. Quest’ultimo le pubblica, aggiungendo alcuni collegamenti narrativi e descrive, alla fine, la tragica morte del protagonista.

Questo romanzo epistolare è però allo stesso tempo anche un romanzo autobiografico per il fatto che Jacopo, il protagonista, riproduce spesso l’essenza e il carattere del Foscolo: è infatti ardente, appassionato e impulsivo. Inoltre entrambi soffrono allo stesso modo della medesima delusione politica: il tradimento dei francesi col trattato di Campoformio non è soltanto una sconfitta o un cinico baratto diplomatico; bensì segna la fine dell'impegno autentico e disinteressato dei giovani per la politica e per le prospettive rivoluzionarie. La politica decade sia come ideale, sia come speranza in qualcosa di migliore.

All’inizio del brano, quindi, Jacopo esprime quindi tutto il suo dolore per la triste fine della patria: a tutti i patrioti come lui non rimane altro che piangere per le proprie sciagure e per la vergogna di non aver saputo difendere l’indipendenza della patria. Segue poi rispondendo al consiglio dell’amico Lorenzo di sottrarsi alle persecuzioni con la fuga: Jacopo rifiuta il suggerimento affermando che mai potrebbe sottrarsi agli Austriaci, gli oppressori, per consegnarsi invece ai Francesi, a coloro cioè che avevano tradito e venduto la sua patria. è chiaro a questo punto come Foscolo giudichi il tradimento: un atto turpe e vergognoso, peggiore persino dell’oppressione più soffocante.

Più avanti, comunque, Jacopo rassicura il suo amico dicendogli che per il momento si trova al sicuro in un vecchio podere sui colli Euganei, dove si era rifugiato convinto dalle suppliche della madre. In questo posto sarà particolarmente importante il rapporto che si instaurerà tra il protagonista e la natura circostante, una natura che, seguendo uno spirito profondamente romantico, si trova sempre in accordo con le passioni del personaggio. Nella contemplazione della pace della natura dei Colli Euganei, in particolare, Jacopo riuscirà a dare un po’ di tranquillità al suo spirito travagliato.

L’ultima parte del brano, infine, è dedicata ad una dura critica verso i compatrioti italiani: le persecuzioni austriache, infatti, vengono spesso eseguite dagli italiani stessi. Foscolo scrive appunto:”noi stessi italiani ci laviamo le mani nel sangue degl’italiani”; cioè combattiamo sempre tra di noi invece di essere uniti contro gli stranieri.

Commento stilistico

La sintassi utilizzata nel brano è di tipo paratattico, ossia formata da frasi molto brevi.

Tutto il brano è pervaso da un incessante tono tragico: le frasi concise e lapidarie e le frequenti domande retoriche contribuiscono a questo scopo; oltre naturalmente ad un linguaggio enfatico e sublime e ad una scelta di un lessico di forte impatto emotivo (es: “sciagure”, “infamia”, “tradito”, “raccapricciare”, “cadavere”).

La punteggiatura è molto abbondante, con la preferenza per l’uso di pause lunghe, ossia punti o punti e virgola.

 

UGO FOSCOLO

Ultime lettere di Jacopo Ortis - “Il colloquio con Parini: la delusione storica”

Riassunto

Jacopo Ortis, nel suo peregrinare per l’Italia, giunge a Milano, capitale della Repubblica Cisalpina, dove incontra il Parini. Una sera, passeggiando nella sobborgo orientale della città, sotto un boschetto di tigli, i due intrattengono un lungo colloquio sulla situazione politica italiana, scambiandosi, da patriottici quali sono, le proprie delusioni e sofferenze.

Commento contenutistico

Il brano analizzato è la lettera del 4 dicembre tratta dal romanzo epistolare “Ultime lettere di Jacopo Ortis”, scritto da Ugo Foscolo come denuncia nei confronti del trattato di Campoformio con il quale Napoleone aveva ceduto all’Austria il Veneto, calpestando tutti gli ideali di libertà e democrazia tanto amati dai rivoluzionari veneziani. 

In questo brano Foscolo fonde abilmente il tono molto acceso e vivace del giovane Ortis e quello ben più pacato e fiducioso del “vecchio venerando” Parini, ormai segnato dalla propria vecchiaia e dalla saggezza maturata con l’esperienza. Entrambi, però, incarnano senza dubbio la figura del libero intellettuale, colui che non lascia che la propria arte venga soggiogata al potere, ma che attraverso essa esprime i propri dissensi e gli ideali che lo guidano e analizza in modo critico la società a lui contemporanea.

Il dialogo si apre con la descrizione e l’analisi delle conseguenze che l’avvento di Napoleone ha causato. Innanzitutto il dominio francese non ha fatto altro che ridurre l’Italia a Stato sottomesso, così come le “antiche tirannidi” spagnole del Cinque e Seicento hanno fatto a loro tempo. Inoltre gli uomini di lettere si sono “prostituiti” alla tirannia, mettendo al servizio del nuovo regime la propria arte e tornando ad incarnare la figura dell’intellettuale cortigiano che asseconda la propria arte all’esaltazione e alla propaganda degli ideali del regime. Infine la delusione provocata dal tradimento di Napoleone ha portato i cittadini italiani ad abbandonare quello spirito eroico che nel periodo della Rivoluzione aveva trascinato gli uomini a compiere azioni valorose. Al suo posto, infatti, non rimangono che indifferenza e mancanza di ideali da perseguire e per i quali lottare. In queste condizioni neppure la presenza di “eroi politici”, come lo stesso Ortis, può essere d’aiuto.

A questo punto il Parini espone la sua teoria riguardo la fama degli eroi che “spetta un quarto alla loro audacia; due quarti alla sorte; e l’altro quarto a’ loro delitti”. Questo punto di vista ricorda molto quello sostenuto dal Machiavelli secondo il quale ben la metà del successo di un buon principe deriva dalla buona sorte e un’altra buona parte va alla sua crudeltà. Certamente il periodo storico in cui Jacopo vive non prospetta certo buona fortuna a coloro che tentano di andare contro un regime forte e autoritario che stringe in mano la terribile arma delle persecuzioni e delle liste di proscrizione.

Nonostante la situazione si configuri come tragica ed irreversibile, tuttavia, Jacopo non smette di opporsi e, smanioso di lottare per la propria patria, propone di tentare il tutto per tutto ed è pronto a sacrificare la sua stessa vita per i propri ideali.

Tuttavia il Parini, forte della propria esperienza, si vede costretto a contrastare le forze del giovane e a consigliargli di indirizzarle verso altre passioni. Il “vecchio venerando” mostra a Jacopo l’impossibilità di un’azione politica sulla base della passata Rivoluzione francese. Essa, infatti, oltre ad aver causato il fallimento di ideali come l’uguaglianza, la libertà e la fratellanza, ha portato verso la dittatura di Napoleone e l’asservimento dell’Italia.

è a questo punto che la morte resta per Jacopo l’unica via d’uscita da considerare.

Commento stilistico

Il tono della narrazione è elevato e piuttosto vicino all’ideale neoclassico, ed il lessico, sia quello usato nelle parti narrative che in quelle discorsive, è aulico e si avvale della presenza di numerosi latinismi. La sintassi è per lo più paratattica, ricca di proposizioni coordinate, e poiché la conversazione è accesa e sentita, al fine di far trasparire le emozioni sono spesso usate proposizioni interrogative ed esclamative.

Molte sono, inoltre, le reminescenze classiche. Sono citati ad esempio, Silla e Catilina; è fatto riferimento ai libri IV e VI dell’Eneide di Virgilio (discorso di Didone contro Enea che l’ ha abbandonata) e agli Annali di Tacito (storia di Cocceo Nerva che, pur di sottrarsi al governo di Tiberio, si suicida).

 

UGO FOSCOLO

Ultime lettere di Jacopo Ortis - “Il problema di una classe dirigente in Italia”

Riassunto

Jacopo, scrivendo al suo amico Lorenzo Alderani, esprime il suo punto di vista riguardo  il problema di una classe dirigente italiana. Egli elenca le classi sociali stratificatesi nel suo paese e muove verso di loro delle critiche, con l’augurio che possano un giorno migliorare senza il bisogno di stragi e rivolte sanguinose.

Commento contenutistico

Il brano è tratto dalla lettera del 17 marzo 1798 contenuta nel romanzo epistolare “Ultime lettere di Jacopo Ortis”.

Dopo aver sostenuto una lunga ed aspra critica nei confronti della Francia e di Napoleone, il protagonista, Jacopo, sposta la sua attenzione sulla problematica a lui molto attuale della mancanza in Italia di un’efficiente classe dirigente degna di una vera nazione.

Inizialmente vengono individuate le classi sociali in cui si divideva la società italiana del tempo e per ognuna viene espressa una critica. Innanzitutto c’è la classe del clero, formata da preti e frati che non sono veri sacerdoti, ma che gestiscono il culto religioso come se fosse una “bottega”, ossia mirando esclusivamente al guadagno. Foscolo, però, nonostante sia espressamente ateo, non nega l’importanza di una religione unica che sia ben radicata “nelle leggi e ne’ costumi d’un popolo”. Essa, infatti, potrebbe rivelarsi un ottimo connettivo sociale in un paese pieno di differenze e contraddizioni come l’Italia.

Un altro ceto che Foscolo mette sotto accusa è quello dei titolati e dei nobili, che in Italia hanno come abitudine “il non fare e il non sapere nulla”. Si tratta di una casta completamente inutile e che costituisce anche un forte peso economico per tutto il paese. Qui l’autore riprende le stesse critiche che il Parini aveva espresso attraverso la sua opera il “Giorno”. Foscolo, quindi, incoraggia la nascita di un ceto di veri patrizi, capaci di difendere con una mano la repubblica in guerra, e con l’altra di governarla in tempo di pace; una vera classe dirigente, insomma.

Più avanti nella lettera, Jacopo alias Foscolo presenta i ceti della plebe e della borghesia (medici, avvocati, professori, letterati, ecc…). Nonostante questi ultimi dicano di praticare “arti gentili”, non manuali ma intellettive, l’autore pone entrambi i ceti sullo stesso piano: si tratta comunque di finti cittadini, che non hanno cioè alcun diritto di entrare nella vita politica del proprio paese. Inoltre essi per la maggior parte non posseggono terre e quindi non hanno alcuna garanzia: sono abitanti di una terra che non appartiene a loro.

I proprietari terrieri sono per Foscolo “dominatori invisibili ed arbitri della nazione”. L’autore, infatti, è un grande sostenitore della proprietà privata: egli afferma che una “terra senza abitatori può stare; popolo senza terra, non mai”. Questa sua convinzione ci fa pensare che lui non fosse un democratico; ma piuttosto un liberale: non predica neanche l’uguaglianza e l’eliminazione delle classi sociali poiché sostiene la presenza di un ceto di patrizi.

Jacopo sostiene dunque cambiamenti radicali, ma prende le distanze dalle orribili azioni commesse durante la Rivoluzione francese: i mezzi per condurre queste trasformazioni non devono essere violenti (“senza carneficine, senza riforme sacrileghe di religione, senza fazioni”).

Questo rifiuto della violenza rivoluzionaria pone però Jacopo in un vicolo cieco: da un lato l'impossibilità di sopportare l'infame “servaggio”, dall'altra l'impossibilità di pagare il prezzo terribile e sanguinario imposto dalle leggi della politica e della storia.

L'alternativa quindi è posta fuori dalla storia: è la scelta della morte. Tale soluzione, tuttavia, può essere solo dell'individuo eccezionale, eroico, isolato (“una nazione non si può sotterrare tutta quanta”); mentre sul piano della politica reale non vi può essere che rassegnazione fatalistica (“Esorterei l'Italia a pigliarsi in pace il suo stato presente”).

Commento stilistico

Il tono della narrazione è elevato ed il lessico, sia quello usato nelle parti narrative che in quelle discorsive, è aulico e si avvale della presenza di numerosi latinismi. La sintassi è per lo più paratattica, ricca di proposizioni coordinate, ma questa volta il tono generale è meno concitato e più razionale perciò sono totalmente assenti sia le proposizioni interrogative, sia quelle esclamative.

 

 

UGO FOSCOLO

Ultime lettere di Jacopo Ortis – "Illusioni e mondo classico"

Riassunto

Dopo il bacio dato a Teresa, Jacopo scrive una lettera all’amico Lorenzo per descrivergli il suo stato d’animo: l’amore sembra essere capace di mitigare le forti passioni distruttive di Jacopo, scaturite dalla delusione storica. Da questo stato d’animo Jacopo sviluppa un’intensa riflessione sulle illusioni, tanto criticate dai filosofi, ma che donano all’animo un po’ di sollievo dai dolori della vita.

Commento contenutistico

Il brano analizzato è la lettera del 15 maggio 1797 ed è tratta dal romanzo epistolare “Ultime lettere di Jacopo Ortis”, redatto dal celebre autore italiano pre-romantico Ugo Foscolo.

In particolare la lettera si riferisce ai sentimenti ed alle sensazioni provate dal giovane protagonista dopo il bacio scambiato con la tanto amata Teresa. A questo punto, infatti, la felicità di Jacopo si riflette sulla natura, che diventa addirittura idilliaca; in contrapposizione a quei paesaggi aridi e morti descritti invece nella lettera da Ventimiglia. Ora tutto ai suoi occhi sembra più bello: il cinguettio degli uccelli, il bisbiglio dei venti primaverili fra le fronde degli alberi, le piante feconde ed i fiori colorati; insomma, una natura che non ha niente a che fare con le atmosfere descritte in precedenza da Jacopo.

Questo tema tendenzialmente neoclassico viene confermato anche dalla presenza di Ninfe, Muse e Naiadi, tipiche divinità minori della mitologia classica. Le Ninfe immaginate da Jacopo, infatti, sono la proiezione della propria serenità interiore; sono illusioni entro le quali si crogiola, che danno un senso alla vita e ne stimolano il proseguimento.

Dietro ad un aspetto principalmente neoclassico, però, la natura descritta in questa lettera nasconde una caratteristica tutta romantica: è vista infatti come un luogo che esalta e riflette gli stati d’animo dell’uomo. In questo caso, quindi, la natura partecipa alla gioia festosa dell’innamoramento di Jacopo con tutto l’incanto della primavera e con il risveglio delle mitiche creature dei boschi e dei laghi. Fra uomo e natura, il rapporto è intenso e spesso l’eroe romantico, incompreso dai suoi simili, trova rifugio e conforto nell’ambiente naturale.

Tuttavia, il tema portante di tutto il brano è sicuramente l’amore: esso si contrappone finalmente al persistente tema negativo della morte; sembra frenare l’impulso suicida di Jacopo che scaturisce dalla delusione politica e ridona al protagonista slancio vitale e voglia di vivere. L’amore è quindi una forza positiva capace di produrre bellezza e arte, rispetto reciproco e soprattutto pietà fra gli uomini, quest’ultima considerata da Foscolo come una delle virtù più alte in contrapposizione agli istinti feroci ed aggressivi che sono insiti nell’uomo.

La seconda parte del brano, invece, è incentrata intorno al tema delle illusioni. Queste vengono contrapposte da Jacopo alla filosofia, cioè al freddo razionalismo proprio della cultura illuminista. Il filosofo nell’età dei lumi, infatti, utilizzava la ragione e la critica rigorosa per negare o distruggere tutto ciò che appariva privo di razionalità. Questo modo di pensare aveva secondo Foscolo due conseguenze fortemente negative: dando un’immagine esatta della realtà, ci fa percepire in tutta la sua crudezza il dolore che domina la vita umana; ma soprattutto negando le illusioni genera un atteggiamento di rassegnazione, di noia e di inerzia di fronte alla realtà. Quest’ultima conseguenza risulta inaccettabile per il Foscolo che, da buon sostenitore della Rivoluzione, sostiene la concezione di una vita energica ed attiva.

Ecco dunque una delle idee trainanti del Foscolo: se la vita umana è dolore, l’uomo ha tuttavia in sé una dote, ovvero la capacità di creare da solo delle illusioni, dei miti: l’amore, la bellezza, la patria, la poesia; miti per i quali, nonostante il loro valore illusorio, si abbellisce e si fa degna la vita. Poesia, patria, bellezza e amore sono certo illusioni; ma senza di esse la vita sarebbe grigia, vuota, noiosa ed indegna di essere vissuta.

Commento stilistico

Nel brano analizzato prevale una sintassi paratattica con frasi brevi e punteggiatura abbondante che rende la prosa molto più vicina alla poesia. Il linguaggio, inoltre, risulta più aulico rispetto ai brani precedentemente analizzati; ma non mancano brevi interrogazioni ed esclamazioni che conferiscono un tono più appassionato e realistico.

Molto utilizzata è la figura retorica dell’enumerazione a climax ascendente e collegata per polisindeto, ovvero attraverso congiunzioni e segni di punteggiatura.