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LUD Orlando Furioso: Canto I (PRIMA PARTE) Parafrasi
riassuntiva
Orlando
torna in Francia assieme ad Angelica e si trova nel bel mezzo della guerra
condotta da Carlo Magno sui Pirenei per difendersi dall’attacco del re
saraceno Agramante. Qui,
a causa di Angelica, scoppia un litigio tra Orlando e Rinaldo, così Carlo Magno
decide di porvi fine indicendo una gara tra i due: chi riuscirà ad uccidere il
maggior numero di saraceni in battaglia potrà prendersi Angelica. L’imperatore
affida così la fanciulla nelle mani del vecchio Namo, duca di Baviera. Durante
la battaglia, però, le cose si mettono male per l’esercito cristiano, così
Namo si vede costretto a correre per dare manforte. Angelica,
così, rimasta sola, ne approfitta per salire in groppa al suo destriero e
fuggire. La
fanciulla entra in un bosco dove incontra un cavaliere: si tratta del valoroso
Rinaldo, signore di Montalbano. Angelica, spaventata, torna indietro e si getta
nel folto della foresta. Arriva
però sulla riva di un ruscello dove incontra Ferraù, che si era allontanato
dalla battaglia per trovare un po’ di ristoro e riposo, ma si era dovuto
trattenere perché il suo prezioso elmo era caduto in acqua. Angelica lancia un
urlo di orrore, ma all’improvviso sopraggiunge anche Rinaldo che si avventa
sul nemico per impedirgli di catturare la donna che anche lui ama. Da qui nasce
un’aspra battaglia a cui però Rinaldo stesso pone fine. Quest’ultimo si
rivolge infatti al pagano e gli propone di rimandare il duello, poiché
altrimenti rischierebbero di perdere entrambi un’altra volta la donna amata.
Angelica, infatti, ne aveva approfittato ancora per dileguarsi nella foresta. Il
saraceno accetta il patto e i due cominciano a galoppare alla ricerca di
Angelica; arrivati ad un incrocio, però, si dividono. Ferraù prende un
sentiero che lo riporta al medesimo punto di partenza. Decide così di tornare
al ruscello per tentare almeno di recuperare l’elmo che gli era caduto in
acqua. Dopo alcuni inutili tentativi, dal centro del ruscello esce una figura,
immersa fino al petto, che terrorizza il saraceno: si tratta infatti del
fantasma di Argalia, fratello di Angelica, ucciso da lui stesso in duello. Lo
spirito del defunto è riapparso al suo uccisore per rivendicare il possesso
dell’elmo magico a lui in precedenza appartenuto. Commento
contenutistico
Il
brano analizzato è tratto dal poema epico-cavalleresco “Orlando furioso”,
scritto da Ludovico Ariosto intorno al Il
primo canto non solo è tra i più significativi del poema, ma ne costituisce
quasi il preludio musicale in cui tutti i motivi dell'opera appaiono
mirabilmente accennati. Qui, come per tutto il poema, fughe, incontri,
combattimenti e tenerezze amorose si susseguono con una trama rapida e leggera. Al
di sopra di ogni motivo, elemento unificatore di tutto il canto è la figura di
Angelica. Ella non ha un suo carattere: è il simbolo della giovinezza,
della bellezza che appare e trascorre dinanzi agli occhi dei cavalieri, sempre
desiderata e mai raggiunta. Questo
è già un primo indizio della morale del poema, in cui non conta tanto avere
dei personaggi con una loro psicologia (i cavalieri saraceni, ad esempio, si
confondono uno con l'altro, hanno tutti dei caratteri simili, sono tutti
cattivissimi, violentissimi, innamoratissimi, ecc.); bensì conta che tutti
quanti desiderino qualcosa, che è Angelica, e non riescono mai a prenderla. La
protagonista del canto, quindi, non è tanto Angelica, quanto la sua fuga. In
realtà la donna non è "attiva", nel senso che non prende iniziative
che muovono l'azione, ma muove l'azione in quanto subisce la ricerca degli
altri. Fin dall'inizio appare chiaro come il personaggio ariostesco viva
soprattutto per un'intensa vita di relazione con gli altri e non abbia quindi
un'identità fissa. Il suo carattere difatti muta secondo le circostanze,
diventando ora "donzella spaventata", tenera e fragile; ora astuta e
calcolatrice; ora dea della natura, bellissima, serena e placida. Il
principio del mutamento è molto presente all’interno dell’opera di Ariosto;
tale meccanismo, però, non è casuale, ma risponde ad altro un principio,
quello dell'attesa delusa. Le cose cambiano, ma nel modo meno aspettato,
deludono le attese, le speranze e i progetti e le intenzioni sortiscono effetti
contrari a quelli voluti. Infatti i cavalieri non trovano quello che cercano e
trovano quello che non hanno cercato. Entra
dunque in campo la metafora, tipica nel poema, dell'errare, verbo della follia
d'amore e della ricerca della felicità, sempre però delusa. Il
luogo in cui è ambientata la vicenda non è descritto esplicitamente, poiché
Ariosto si concentra maggiormente sullo sviluppo dell’intreccio; tuttavia, in
questa parte del canto si tratta della foresta orrida e selvaggia, locus
classico della tradizione letteraria, in particolar modo dantesca. Commento
stilistico
Quelle
analizzate sono 24 delle ottave ariostesche del primo canto dell’”Orlando
furioso”; dette anche “ottave d’oro”, in quanto ogni ottava si chiude
perfettamente in se stessa. Il
verso utilizzato è endecasillabo e le rime sono per i primi sei versi a rima
alternata (ABAB), per gli ultimi due a rima baciata (CC). Le
figure retoriche presenti sono: -
ALLITTERAZIONE: “per far
al re Marsilio
e al re Agramante”
(6.1)
“in premio
promettendola” (9.1)
“or, mentre
l’un con l’altro si travaglia”
(17.5)
“sì come
quel c’ha
nel cor tanto fuoco”
(18.7) -
INVERSIONE: “di sudor pieno e tutto polveroso” (14.2) = anastrofe
“era, fuor che la testa, tutto armato (26.1) = iperbato -
SIMILITUDINE: “timida pastorella mai sì presta / non volse piede inanzi a
serpe crudo, /
come Angelica tosto il freno torse, / che del guerrier, ch’a piè venia,
s’accorse” (11.5/8) = mai nessuna pastorella è stata così rapida a fuggire
di
fronte ad una serpe velenosa, quanto Angelica lo è di
fronte a Rinaldo. -
METAFORA: “gente battezzata” (9.6) = sta per cristiani
“rotta fede” (29.8) = sta per patto
spezzato, atto sleale -
ANALOGIA: “alta selva fiera” (13.7) = una foresta non può essere fiera, ma
qui vuole
significare intricata
-
IPERBOLE: “sospirando piangea, tal c’un ruscello / parean le guancie, e il
petto un
mongibello” (40.7/8) = vengono esagerate
le reazioni di Sacripante,
paragonando il suo pianto ad un fiume di lacrime
ed il suo petto ansimante al vulcano Etna
LUDOVICO
ARIOSTO Orlando
Furioso: Canto I (SECONDA
PARTE) Parafrasi
riassuntiva
Il
fantasma di Argalia ammonisce Ferraù per non aver mantenuto la promessa di
seppellire tutte le sue armi con lui: il saraceno, infatti, aveva deciso di
tenere per sé il prezioso elmo magico. Perseguitato
dalla vergogna, Ferraù decide di seguire il consiglio del fantasma e parte alla
ricerca di Orlando per vincere a duello il suo elmo. Nel
frattempo Rinaldo, che si trova ancora alla ricerca di Angelica, si imbatte nel
suo cavallo imbizzarrito, Baiardo, e tenta inutilmente di placarlo finendo solo
per farlo fuggire nel folto della foresta. Dall’altra
parte, Angelica continua terrorizzata la sua fuga in sella al suo destriero,
credendo ad ogni minimo fruscio di avere ancora alle spalle i suoi inseguitori.
Dopo una notte e mezzo giorno di continuo vagare, la fanciulla si ritrova in un
boschetto, dove, distrutta e sfinita dal lungo viaggio, si posa su un giaciglio
d’erbette e si addormenta. Non
passa molto, però, che il sonno di Angelica viene destato da un fruscio di
passi: si tratta del cavaliere Sacripante, che si china sul lieve ruscelletto in
preda a lacrime e sospiri. Commento
contenutistico
Il
brano analizzato è tratto dal primo canto del poema epico-cavalleresco
“Orlando furioso”, scritto da Ludovico Ariosto in onore del cardinal
Ippolito d’Este, per ripagarlo dei favori da egli ricevuti. In
questo breve passo, l’autore mostra al suo pubblico lo svolgersi di tre
vicende contemporaneamente utilizzando la tecnica detta intralacement. Spesso,
infatti, il poeta lascia una narrazione per passare ad un'altra; lo scopo di
tali interruzioni è quello di non annoiare gli ascoltatori, rendendo la vicenda
anche molto intricata, dato che è composta da vari racconti concatenati
assieme. Tutte
le vicende, nel loro piccolo, sono dei viaggi e non vengono mai fissate in un
luogo stabile. Solitamente chi viaggia viene a trovarsi in una foresta o in un
luogo deserto in cui avviene un incontro (positivo o negativo) che permette di
continuare la narrazione. A
questo proposito ci sono vari momenti pieni di significato, tra cui la fuga di
Angelica, che è il motivo portante di tutta l'opera. Fin
dall'inizio del poema ariostesco, infatti, Angelica che fugge nella selva ci
trascina subito in un mondo dove tutti agiscono in stati di incantamento o di
fissazione prodotti dal gioco della sorte. La bella Angelica fugge sul suo
destriero dal campo cristiano e incontra il paladino Rinaldo, che lei detesta
fin dal poema di Boiardo perché ha bevuto alla fontana del disamore, mentre
Rinaldo l'ama e l'insegue perché ha bevuto l'acqua dell'amore. Subito,
con Angelica che fugge e i suoi spasimanti che l'inseguono, duellano, ansimano
per possederla, ma poi non combinano niente, c'è il senso d'un girare a vuoto
che pare insensato e vano. Con
tanti sfrenati slanci, si direbbe che girare a vuoto sia il loro destino
naturale, per eccesso di ardori. Angelica fugge da Rinaldo e incontra Ferraù,
il quale inizia un duello con Rinaldo per amore di Angelica, che però è già
fuggita di nuovo; nel frattempo, in questa selva dove tutti si perdono e si
ritrovano, Sacripante sta lamentandosi perché teme che un altro abbia colto il
fiore verginale di Angelica prima di lui. Oltre
al tema portante della fuga di Angelica, questo canto presenta anche un
importante elemento nell’opera di Ariosto: si tratta della natura. Ariosto,
infatti, ha una rinnovata coscienza della natura, forza viva e creatrice. Lo
spirito del Rinascimento, che ripropone la visione dell'uomo che realizza se
stesso nelle vicende terrene, permette di ritrovare il senso di una natura
e di una realtà terrena non più subordinata ad un Aldilà ignoto. Accanto
all'elemento fantastico e leggendario, Ariosto pone la conoscenza della
natura fisica: egli descrive concretamente la flora del bosco, nei limiti
imposti da uno stile comunque lirico, che non permette eccessivi dilungamenti
come può avvenire, ad esempio, per la prosa. In
particolare vengono riutilizzati due "luoghi" classici della
tradizione letteraria: il locus amoenus
idillico e la selva orrida dantesca. La foresta è orrida e selvaggia prima, poi
diventa oasi di pace. La
selva ha un chiaro valore simbolico: con il suo fitto groviglio di alberi, è il
luogo degli incontri e degli scontri, delle apparizioni, delle illusioni e dei
trabocchetti. E’ quindi metafora di una realtà intrecciata, sottoposta
all’arbitrio della fortuna, e che vuole essere immagine di un mondo complesso. Il
boschetto ameno, invece, viene descritto tramite numerose aggettivazioni:
Angelica si ritrova all’interno di una radura, solcata da due “chiari
rivi” che, scivolando lenti sul loro letto di “picciol sassi”, producono
nell’aria una dolce armonia. Qui le “tenere erbette” sono fresche e
ricoperte da fiori e cespugli di rose vermiglie e biancospini fioriti. A questa
meraviglia terrestre fa da tetto il groviglio di foglie e rami delle “alte
quercie ombrose” dove “’l sol non v’entra, non che minor vista”. Tutto
questo fa da sfondo alla creatura a cui Ariosto, nella sua opera, vuole dare più
risalto: la donna, che finisce inevitabilmente per fare tutt’uno con una
natura così meravigliosa. Commento
stilistico
Quelle
analizzate sono 11 (dalla 30 alla 40) delle ottave ariostesche del primo canto
dell’”Orlando furioso”; dette anche “ottave d’oro”, in quanto ogni
ottava si chiude perfettamente in se stessa. Il
verso utilizzato è endecasillabo e le rime sono per i primi sei versi a rima
alternata (ABAB), per gli ultimi due a rima baciata (CC). Le
figure retoriche presenti sono: -
ALLITTERAZIONE: “quindi si parte tanto
malcontento”
(31.3)
“segue Rinaldo e d’ira
si distrugge” (31.7)
“per questo
il destrier
sordo a lui
non riede” (32.5)
“fugge tra selve spaventose
e scure” (33.1)
“duo chiari rivi,
mormorando
intorno” (35.5) -
INVERSIONE: “sol di cercare è il paladino intento” (31.5) = iperbato
“che un calpestio le par che venir senta” (38.6) =
anastrofe -
SIMILITUDINE: “qual pargoletta o damma o capriola, / che tra le fronde del
natio boschetto /
alla madre veduta abbia la gola / stringer
dal pardo, o aprirle ‘l fianco o ‘l
petto, / di selva in selva dal
crudel s’invola, / e di paura triema e di
sospetto” (34.1/6) = come un
cucciolo di daino o di capriolo, che tra le
fronde del bosco ha visto la madre uccisa dal
leopardo,
fugge di selva in selva tremando di paura e di
sospetto, così Angelica fugge, temendo ad
ogni fruscio
di
essere inseguita da Rinaldo -
ANALOGIA: “via stanca” (36.3) = non è la via che è stanca, ma è Angelica
che è stanca per la lunga fuga
LUDOVICO
ARIOSTO Orlando
Furioso: Canto I (TERZA
PARTE) Parafrasi
riassuntiva
Sacripante,
chinato su di un lieve ruscelletto è in preda a lacrime e sospiri: il suo
dolore è provocato dal pensiero che qualcuno possa aver colto prima di lui la
verginità di Angelica, togliendo ormai alla fanciulla il fascino della rosa che
non è ancora stata staccata dal suo arbusto. Mentre
costui si affligge, Angelica pensa di sfruttare il cavaliere per riuscire
finalmente a venire fuori da quella selva impervia, facendogli credere di poter
cogliere la rosa che tanto desidera. Le intenzioni della fanciulla,
naturalmente, sono ben diverse: progetta infatti di sfuggire dalle mani di
Sacripante il prima possibile per tornarsene in patria. Angelica
esce così dalle fronde, bella come una dea, e convince abilmente il cavaliere
della sua sincerità. Sacripante, da parte sua, non riesce a credere ai suoi
occhi, ma non dubita nemmeno un secondo delle parole dell’amata, tanto ne è
invaghito. Proprio quando il cavaliere si prepara al “dolce assalto”, giunge
dalla foresta un rumore assordante: entra ora in scena un altro misterioso
paladino vestito di bianco, che sfida a duello Sacripante e lo batte miseramente
facendolo cadere da cavallo. Commento
contenutistico
Il
brano analizzato è tratto dal primo canto del poema epico-cavalleresco
“Orlando furioso”, scritto da Ludovico Ariosto in onore del cardinal
Ippolito d’Este, per ripagarlo dei favori da egli ricevuti. Nelle
ottave analizzate, Ariosto concentra la narrazione, non più sul paesaggio come
nei versi precedenti, bensì su due precisi personaggi: Angelica e Sacripante. Angelica
è una delle protagoniste del poema di Ludovico Ariosto. Lei è la figlia re del
Cataio (ossia della Cina), è bellissima ed esperta nelle arti magiche:
possiede, infatti, un anello che le consente di diventare invisibile.
Nell’”Orlando Innamorato”, suo padre l’aveva inviata in Francia, con suo
fratello Argalìa, per catturare i paladini cristiani; ma la sua missione era
fallita in seguito alla morte del fratello. Il
suo comportamento cambia radicalmente nel corso delle ottave; Ariosto la
presenta, ora inorridita e fuggente, ora astuta e fredda, ora bella, placida e
serena. Tale
cambiamento è in parte dovuto al fatto che Angelica non ha un'anima sua, non ha
un suo vero carattere: ella è la giovinezza, la bellezza medesima che appare e
fugge dinanzi agli occhi dei cavalieri, sempre desiderata e mai raggiunta.
Angelica, quindi, risulta più come un simbolo che come un personaggio nella
gran tela del poema. Tutti
i personaggi di Ariosto non sono rigidi nelle loro psicologie e nei loro
affetti, ma aperti, mutevoli e disponibili alla vita, a cambiare e ad adattarsi
(Ferraù, Sacripante, Angelica...). Il risvolto negativo di questa disponibilità
è il tradimento; infatti Angelica non si fa nemmeno il minimo scrupolo nel
tradire la fiducia di Sacripante. Quest’ultimo,
re di Carcassa, è il più fedele spasimante di Angelica. Alla sua prima
apparizione, egli è convinto che, mentre lui era in Oriente in missione
militare, Orlando abbia fatto sua la bella fanciulla e per questo si dispera
gemendo, tra lacrime e sospiri, chinato sul ruscello che scorre nell’ameno
boschetto. Nelle
parole di Sacripante, presso l’ottava 42, ritroviamo il riferimento al tema
della rosa. Questo tema è di rilevante importanza in quanto, in tutta la
vicenda, si tende a sottolineare la bellezza e la freschezza della verginità,
paragonata appunto al fascino e alla purezza di una rosa che non è stata ancora
colta. Collegato a questo, nell’ottava 52, è presente anche un riferimento al
carpe diem; si tratta ancora una volta di
Sacripante, che non vuole perdere la sua unica occasione con Angelica. Il
cavaliere, come la sua amata fanciulla, subisce un mutamento del carattere nel
corso di pochi versi: passa infatti da delicato cantore della verginità
femminile a spregiudicato seduttore, nel momento in cui si prepara al “dolce
assalto”. Inoltre
Sacripante, assieme ad Angelica, è un personaggio che calcola freddamente le
proprie mosse, con il fine di raggiungere a tutti i costi i propri scopi. Per
concludere, nell’ottava 60 fa la sua comparsa un misterioso personaggio che
attacca Sacripante uccidendo il suo cavallo e facendo stramazzare il cavalcatore
a terra. Non
si tratta di un cavaliere, come il lettore potrebbe facilmente immaginare, bensì
di un’amazzone guerriera, nascosta sotto una bianca armatura: Bradamante.
Questa è la sorella di Rinaldo, scaltra e molto simile alle donne moderne:
indipendente e che non ha paura di usare le proprie qualità in tutti i campi,
anche in quelli principalmente maschili come il duello e le armi. Commento
stilistico
Quelle
analizzate sono 24 (dalla 41 alla 64) delle ottave ariostesche del primo canto
dell’”Orlando furioso”; dette anche “ottave d’oro”, in quanto ogni
ottava si chiude perfettamente in se stessa. Il
verso utilizzato è endecasillabo e le rime sono per i primi sei versi a rima
alternata (ABAB), per gli ultimi due a rima baciata (CC). Le
figure retoriche presenti sono: -
SIMILITUDINE: Nell’ottava 42 la similitudine ha la funzione di descrivere la
figura della
verginella.
Nell’ottava 52 la similitudine ha
la funzione di descrivere l’improvvisa
apparizione di Angelica.
Nell’ottava 62
la similitudine ha la funzione di descrivere la crudeltà dello
scontro tra Sacripante e
il cavaliere. -
METAFORA: “Gigli d’oro” (46.8) = sta per francesi
“ove il sol cade” ( 41.6) = sta per oriente -
IPERBOLE: “e fa degli occhi suoi tiepida fonte” (48.2) = le lacrime di
Sacripante sono
paragonate ad una tiepida fonte
“fè lo scontro tremar dal basso all’alto / l’erbose valli
insino ai poggi ignudi”
(62.5-6) = lo scontro tra Sacripante e Bradamante è tanto violento
da far
tremare persino le colline tutt’intorno
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