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GIOVAN
BATTISTA MARINO Amorosa
animazione Parafrasi
Un
giorno, là dove il Tirreno corrode la costa occidentale dell’isola d’Ischia
con il battere continuo delle sue onde, il poeta vide baciarsi la conchiglia con
la conchiglia ed il mollusco con il mollusco, e vide inoltre l’uno mischiarsi
all’altro. Il
poeta vede anche la biscia del mare, che tenta di venire di là fino a quel
luogo vicino all’incrocio delle strade dove fischiando la chiama, ai luminosi
raggi del sole, il serpente innamorato. Egli
vede inoltre la fredda anguilla ardere d’amore tra le acque e vede le occhiate
assieme alle salpe andare di grotta in grotta seguendo i loro maschi. Tuttavia
il poeta non vide mai la perfida Lilla fatta cortese, né la sostanza rocciosa
del suo cuore, se non spezzata, almeno resa meno ostile. Commento
contenutistico
Il
sonetto analizzato è stato composto da Giovan Battista Marino, il più
influente autore del periodo barocco. Dall’osservazione
della natura Marino ricava la dimostrazione che l’amore, inteso come impulso
biologico, anima ogni aspetto della realtà. Le
quartine e la prima terzina sono infatti dedicati ad una descrizione
naturalistica che vede al suo centro non il sentimento amoroso, ma il vero e
proprio istinto erotico. Inizialmente viene descritto l’ambiente: si tratta di
un fianco della rocciosa isola d’Ischia, rosa continuamente dall’infrangersi
delle acque del Tirreno. I due elementi paesaggistici sono messi in
contrapposizione: da una parte si pone l’isola, minerale ed immobile;
dall’altra si trova la forza prorompente del mare, animato ed attivo. Sopra a
questo sfondo, il poeta si concentra su due piccolissimi animali: due molluschi
che si abbracciano in un bacio appassionato. La
seconda quartina è incentrata invece sull’amore tra una biscia marina ed un
serpente. Quest’ultimo la chiama fischiando e lei si spinge desiderosa fino
all’amato che la attende. Il corteggiamento tra questi due animali colpisce
immediatamente il lettore perché può essere facilmente avvicinato alle usanze
dello stesso corteggiamento umano. Il poeta quindi vuole di certo estendere il
“regno dell’amore” allargandolo a tutti gli esseri viventi; anche questi,
infatti, non sono immuni al richiamo amoroso. Nella
prima terzina compaiono ancora sensazioni visive: la fredda anguilla che arde
d’amore fra le acque mentre le occhiate e le salpe inseguono nelle grotte i
loro maschi. Il guizzare inquieto e zigzagante di questi pesci in amore
conferma, a questo punto, la definizione del desiderio amoroso come forza che dà
origine a comportamenti imprevedibili ed incontrollabili. Il
sonetto giunge ora al suo epilogo: Marino contrappone l’amore appassionato che
è stato trovato in natura al freddo cuore di una fanciulla, Lilla, che non si
è mai piegato alla forza di quell’“animazione amorosa” che sembra tanto
necessaria. Questa terzina riprende il repertorio tipico del Petrarca: anche
egli, infatti, dovette sopportare la freddezza del cuore di Laura, la donna
bellissima ma irraggiungibile. Commento
stilistico
La
poesia analizzata è un tipico sonetto formato da due quartine e due terzine di
versi endecasillabi legati insieme da uno schema rimico di tipo
ABBA-ABBA-CDE-CDE. Il
linguaggio utilizzato è ricercato e piuttosto raffinato, ma risulta comunque
comprensibile. Più
complessa da districare sembra invece la sintassi: i periodi sono infatti ricchi
di inversioni e spezzati da enjambements che ne
complicano la lettura. Le
figure retoriche presenti sono le seguenti: -
ALLITTERAZIONE: “ove
del sole al luminoso
spicchio” (v.7)
“arder
fra l’acque, e gir
di grotta in grotta,”
(v.10)
“te fatta
a me cortese,
e, se non rotta,”
(v.13) -
INVERSIONE: “ove del sole al luminoso spicchio” (v.7) = anastrofe
“E vidi ancor d’amor l’algente anguilla arder fra
l’acque” (vv.9-10) =anastrofe
“e gir di grotta in grotta, i lor maschi seguendo, occhiate e
salpe” (vv.10-11)
= anastrofe e iperbato - METAFORA: “e, se non rotta, men dura, del tuo cor la rigid’alpe” (vv.13-14) = il cuore della fanciulla viene paragonato
ad una
dura pietra. -OSSIMORO:
“d’amor l’algente anguilla arder
fra l’acque” (vv.9-10) = opposizione di due termini contrastanti: caldo e
freddo. |